venerdì 9 marzo 2012

La finestra

Una città piccola non vuol dire niente.
Le persone non si incontrano mai per caso.
La più piccola delle città può essere infinitamente grande se il tempo degli incontri è passato.
Non ti ho più incontrato per strada, da quella volta. A dirla tutta non ti incontravo mai per strada neanche prima, e poco durante. Forse è un bene, non lo so.
Ho pure traslocato, spostandomi da un capo all'altro della città, ma non è cambiato nulla, se non le strade che cammino tutti i giorni.
Ho anche un nuovo lavoro, uno dei tanti che faccio. La cosa buffa è che mi ha portato a ripercorrere strade che non credevo avrei più fatto, dopo.
Il tragitto è breve, una volta sceso dall'autobus. La strada è spesso silenziosa. Poca gente in giro. Nella mia testa questa è la zona berlinese della città, saranno gli alberi, o le piste ciclabili, o proprio il silenzio.
Quando ci passo è già sera, quando torno a casa notte. Conosco tutto di questa strada ormai, mi accorgo perfino di quando appare una nuova firma su un muro. Fra un po' inizierò a riconoscere anche le macchine parcheggiate.
E ogni volta non resisto alla tentazione.
Alzo lo sguardo, lo spingo tra quei due palazzi, oltre la cortina d'alberi, e cerco la tua finestra. Una portafinestra, anzi. La luce è quasi sempre spenta, e non mi stupisce, vista l'ora. Quelle poche volte che  è accesa invece, non si scorgono ombre. In effetti mi chiedo come mai sia accesa a quell'ora. Ma è solo il tempo di un'occhiata, non so niente di più, e niente voglio sapere. È una specie di tradizione, ormai.

Sono strane le associazioni mentali, non seguono schemi logici o di causa ed effetto, uniscono punti apparentemente distanti, ma in fondo lo spazio del cervello è una dimensione curva, è tutto molto più vicino di quanto sembri.

Una delle prime volte, prima che diventasse una tradizione, ho pensato che a quei tempi pesavo molto di più di adesso, per i miei standard almeno, qualcosa come cinque chili di sicuro. È strano che un maschio si soffermi su queste cose? Forse, non lo so. So che da sempre mi colpisce come siamo in grado di forgiare il nostro corpo in base a quello che viviamo, o come esso forgia noi.
Ho sempre detestato la ciccia, anche se si tratta solo di un filo di pancetta che ci si porta dietro dai tempi delle scuole medie, vorrei essere assolutamente tonico e asciutto, senza un filo di grasso, detesto anche quando le donne dicono che vogliono l'uomo con la pancetta, no, non è vero, mi pare una cazzata bella e buona. E non sono pigro, quindi cammino molto, e veloce, con la bella stagione vado a correre, faccio sempre gli esercizi (addominali, flessioni) prima della doccia.
Voglio piacermi, voglio conformarmi al mio personale ideale. Anche se una cosa è metterlo in pratica, una cosa è ammetterlo esplicitamente. Darsi un metodo, e riuscire pure a seguirlo, pare un po' folle.

A te tutto questo non piaceva. Dicevi che non potevi accoccolarti comoda su di me, come un gatto, se avevo troppi muscoli o ero troppo magro. E io ho smesso con gli esercizi, e credo di aver pure iniziato a mangiare di più. Se ora guardo le foto di quel periodo mi vedo gonfio come un pallone, e sorrido di quel me stesso del passato. Anche lui sorride, ma non di me, vorrebbe solo spiegarmi che è contento perchè non deve limitarsi a seguire il proprio ideale, e vorrebbe farmi capire quanto grande è il privilegio di piacersi per come piacciamo a un'altra persona, attraverso i suoi occhi.
No, è una bugia, lui tutto questo mica l'aveva capito.
Che poi non è che adesso abbia capito molto di più.

Nessun commento:

Posta un commento