martedì 3 aprile 2012

Fa' la cosa giusta

La ragazza sta seduta storta. Che poi a pensarci non ho mai visto nessuno sul bus che si sedesse come vorrebbero designer e progettisti di sedili per mezzi pubblici, anziani a parte. Ma anche loro mica sempre, eh. Storta del tipo che ha trovato il suo equilibrio appoggiando la testa al vetro e lanciando le gambe di fronte a lei, perpendicolare rispetto all'asse fronte/retro del mezzo. Se lo può permettere per tre motivi: i primi due sono autoevidenti, e i jeans sono troppo attillati per occultarli, il terzo è che al momento l'autobus è in parte vuoto, vuoi il caso, vuoi quell'ora senza padroni poco prima di pranzo.
Vuoi il caso (ancora lui), il posto dietro la ragazza è libero. Mi siedo, e lascio vagare lo sguardo di fronte a me. Cerco di fingere che non la sto guardando. La lascio nel campo periferico e mi fermo un attimo a riflettere se sia possibile osservare qualcosa nel proprio campo periferico, a livello anatomico ma pure linguistico. Sento che mi si contorce il nervo ottico. Mi accorgo solo adesso che non sono l'unico ad avere di questi pensieri e visioni (forse solo le visioni): due posti avanti è seduto un giovane che avrà circa la mia età (giovane insomma), che fa finta di starsene bello comodo quando invece ha assunto una postura davvero contorta pur di mettersi nella condizione di guardare l'oggetto del desiderio che ci divide. Da qualche parte un progettista di sedili si contorce nella tomba, o starnutisce, o gli fischiano le orecchie.

La ragazza pare sovrappensiero, forse annoiata, come se non dovesse scendere prima del capolinea. Ha una frangia molto corta, squadrata al millimetro. Mi inquietano le frange così precise. Quindi mi attirano. Ogni tanto si guarda intorno, ha guardato anche me, i nostri sguardi si sono incrociati (sapeva che ero in attesa di questo momento). Ha quasi sorriso, è apparsa un'ombra di fossette. Io circa, boh, non riesco mai a controllare i muscoli della faccia in queste occasioni. Poi però ha guardato pure lui, che le ha sorriso in modo molto più convincente (maledetto). Respiro l'impasse. Dovrei uscirmene con una frase a effetto, una constatazione arguta e fulminante, e soprattutto dovrei farlo prima che lo faccia lui.

Prossima fermata Pontevecchio, dice la voce registrata. L'autobus si ferma, le porte si aprono, sale una signorotta bella in carne. Vero che il bus è mezzo vuoto, ma i posti a sedere sono tutti occupati, se si esclude quello in fondo tra due pakistani. La signora punta dritta al centro, dove io e Tizio ci stiamo silenziosamente combattendo i favori della ragazza. Si piazza davanti a noi, non dice nulla. Fa scorrere lo sguardo su tutti e tre, poi fa un secondo passaggio, soffermandosi prima su Tizio, poi su di me. Intanto l'autobus è ripartito. La ragazza segue lo sguardo della signora, come se volesse studiare le nostre reazioni.

È tutta una questione di prontezza. Il primo che offre il proprio posto ha vinto. Però poi tocca stare in piedi. In piedi dove? Di fronte a lei? Troppo sfacciato. Poi non si tratta più di occhiate di traverso ma di fissarla proprio, pure dall'alto in basso. E se non dici niente sicuro passi per maniaco. E se ti sposti altrove, o le dai le spalle, beh, è comunque tutto finito. Però forse così sarà lei a rivolgerti la parola. Forse. Com'è che i gesti egoisti hanno sempre un ritorno immediato e di quelli altruisti invece se ne intravede vagamente uno?

Stai giusto riemergendo da questa valutazione di pro e contro, con la bocca aperta pronta a formulare la fatidica frase, quando senti Tizio che dice: "Vuole sedersi, che tanto io devo scendere alla prossima fermata?".

Merda. Penso sempre troppo.

La signora risponde secca: "No grazie, non sono mica vecchia".

L'istante successivo il tempo si ferma. La ragazza ha sgranato gli occhi in una risata silenziosa, a Tizio invece si sta sciogliendo la faccia in una smorfia sorpresa. Il tempo riparte. Tizio si sente di sicuro un coglione, io un vigliacco. La ragazza se potesse riderebbe di entrambi. La signora sembra aver ricevuto un'offesa mortale.

Regna il silenzio, la battaglia si è conclusa, senza vincitori. Con due vinti. Alla fermata successiva Tizio scende davvero. Non si guarda neppure indietro. L'autobus riparte di nuovo, la signora si siede nel posto ora libero. Vorrei fare una battuta alla ragazza, ma non mi esce niente. Continuo a guardarla di sguincio. Sono uno sfigato e lei lo sa, le leggo in faccia che lo pensa.

Ancora un paio di fermate e scende anche lei. La osservo mentre si alza, si sistema i jeans alla vita con un gesto da cineteca, si avvicina alla porta e fa un piccolo salto per atterrare direttamente sul marciapiede. Mi becca nel momento in cui le porte si chiudono e il bus riprende la marcia. I nostri sguardi si incrociano per un'ultima volta, ma il suo non riesco a capirlo.

Rientrato a casa accendo il computer, cazzeggio un po' su facebook, tra gli aggiornamenti di status dei miei amici. Mi cade l'occhio su una foto profilo sconosciuta, ma stranamente familiare.

Cazzo è lei.

Com'è che siamo amici? E da quanto? E lei lo sa? Cioè lo sapeva? Le scrivo? Sì ma cosa? Mi spiego? Faccio finta di nulla e le scrivo e basta? Su facebook sono brillante e spigliato.

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