lunedì 2 luglio 2012

Il finale è a sorpresa

Giulia si stava annoiando. No, "si stava annoiando" forse non era l'espressione giusta. A vederla lì, seduta sul letto, in maglietta e mutandine, col ventilatore sparato in faccia e col portatile ormai bollente appoggiato sulle lenzuola di fronte a lei, certo avrebbe potuto sembrare in preda all'uggia. Giulia stava immobile, anche il respiro era rallentato nel tentativo di sudare il meno possibile. Per combattere doveva non combattere. Non sempre però riusciva a trattenersi dallo sbuffare. Le gocce di sudore erano il suo nemico numero uno. Piuttosto sembrava ipnotizzata da se stessa. Mentre fuori di lei il caldo parlava, la avvolgeva, riempiva ogni centimetro cubo di spazio, incancrenendosi nelle piccole intercapedini tra la pelle e gli indumenti che aveva indosso, dentro un guazzabuglio di pensieri si agitava in maniera scomposto, e la agitava. Le stava sudando il cervello, ecco cos'era che sudava e non poteva farci nulla, quasi riusciva a percepire le goccioline che scendevano lungo la corteccia cerebrale. La maionese impazzita. Non sapeva neanche cosa fosse davvero, o come potesse impazzire la maionese, ma le pareva che quel modo di dire sentito chissà dove descrivesse perfettamente lo stato delle cose al momento.

La sera prima aveva fatto un danno. O forse no? Non lo sapeva. Era questo il punto. Non lo sapeva. E non c'era modo di saperlo.
Poteva solo aspettare. Ogni tanto buttava un occhio sul cellulare. Da lì sarebbe giunta la risposta, se mai fosse giunta. Come sempre, all'origine di tutto, un sms. All'origine o alla fine? Alla fine della serata, all'origine del problema. Che poi, a voler essere onesti, la colpa non era neppure del tutto sua. Ci si era messo anche il vecchio scassone di cellulare che si portava dietro da anni. Si stava odiando per l'affetto che nutriva per quel reperto che sembrava provenire da una lontana era geologica, tecnologicamente parlando. Perchè non era passata a uno smartphone, come tutti? Già troppe domande senza risposta. Il suo amato cellulare aveva un grosso limite, ben oltre l'assenza di una fotocamera, dell'impossibilità di potersi collegare a internet e via dicendo. Non permetteva di salvare i messaggi inviati. Faceva finta di non ricordare che tutta la (poca) memoria del telefono era occupata da messaggi ricevuti e salvati nel corso degli anni e delle relazioni passate. Perchè mai poi uno dovrebbe salvare i messaggi inviati? Tanto una volta inviati sono inviati, e se fossero stati bei messaggi, ci avrebbe pensato il ricevente a salvarli. Ora capiva il perchè. Non importa tanto il contenuto, cioè sì, ma non importa quanto il destinatario. Specie se si fanno le cose in automatico senza riflettere su quello che si sta facendo, senza fermarsi un attimo a pensare. Oppure se si pensa troppa, al punto che si annebbia la vista. Giulia aveva un dubbio atroce: a chi lo aveva mandato, quel messaggio? C'erano pure buone possibilità che fosse arrivato correttamente a destinazione, eh. Ma c'era pure il tarlo nel cervello che, a parte farla sudare, le diceva che no, che invece l'aveva mandato alla persona sbagliata. E si sa che spesso i tarli c'azzeccano. È che Enrico e Francesco, nella rubrica del cellulare, stavano vicini, praticamente attaccati. Nessun Erica o Filippo a dividerli. Giusto una Fabiola con cui, per inciso, non si sentiva da anni. Non avrebbe potuto salvarli come "A" e "Z"? Erano così diversi che la scelta non avrebbe fatto una grinza, anche metaforicamente. Nella propria vita aveva inviato messaggi ben più compromettenti di questo (eh, se lo aveva fatto... Le veniva da ridere al pensiero), ma questo era compromettente nel peggior modo in cui poteva esserlo, e finiva per inguaiare non una, non due, ma ben tre persone, lei compresa.

Da quanto conosceva Enrico e Francesco? Abbastanza poco, in realtà. Non poteva neanche dire di conoscerli sul serio. Un triangolo nato quasi per caso. Compagnie di amici che si incrociano, poi la selezione naturale fa il suo corso, e se le maggior parte delle volte sono i rapporti di vecchia data a prevalere, alle volte succedono strane e misteriose alchimie che generano nuove dinamiche. Fatto sta che ora si vedevano e si sentivano praticamente tutti i giorni. Sul vedersi, nessun dubbio, si vedevano, tutti e tre. Sul sentirsi il discorso era un po' più complicato: Giulia e Francesco erano perennemente in contatto, mentre Enrico andava un po' a ruota, facendosi trascinare dalla corrente. Enrico non si esprimeva mai su cosa volesse davvero. Alle volte sembrava che si unisse agli altri due quasi per dovere, per non spezzare l'equilibrio di quel triangolo. A Giulia piacevano entrambi, Enrico proprio per il suo essere taciturno, quasi scorbutico ma con la battuta sempre pronta, Francesco per il senso dell'ironia più estroverso, per la sua sensibilità e per le attenzioni che le dedicava. Il primo era in grado di stare un'ora senza proferire parola, il secondo nello stesso tempo avrebbe potuto raccontare dieci romanzi. Il punto è che non le piacevano allo stesso modo, e più passava il tempo più ne prendeva coscienza.

La sera prima, quella maledetta sera, anzi no, non maledetta, la serata in sé era stata pure carina, maledetto il dopo, i tre si erano dati appuntamento al solito bar. Non c'era mai troppa gente, il proprietario li aveva presi in simpatia, e il resto lo facevano i tavolini all'aperto, in un cortile interno in cui misteriosamente circolavano delle correnti d'aria che mitigavano il caldo torrido di quei giorni. Come sempre Enrico era giunto con un abbondante ritardo rispetto all'orario stabilito. Giulia lo odiava per i suoi ritardi. Possibile che non gliene fregasse niente? Che avesse sempre qualcosa di meglio da fare da cui non riusciva a staccarsi? Lo odiava pure per un sacco di altre ragioni. Prima fra tutte per come la guardava. Come la guardava? Non lo sapeva. Non riusciva mai a intuire cosa gli passasse per la testa. Era illeggibile per lei, che si considerava infallibile alla stregua del protagonista di quella serie tv americana dove un team affiliato alle forze dell'ordine deve scoprire chi mente e chi no. Giulia e Francesco stavano chiacchierando, Francesco la faceva ridere raccontando aneddoti di quando era bambino e ciccione, e non sapeva andare in bicicletta. Giulia quella sera aveva capito anche un'altra cosa. Francesco aveva una cotta per lei. L'aveva sempre sospettato ma, senza sapere bene perchè, ora era diventato evidente. Non poteva negare che la cosa la lusingasse. Rileggendo in questa chiave gli ultimi inviti, le uscite, le conversazioni, capiva anche che tutta la loro recente amicizia si fondava su questo ingombrante "tra le righe". E qual era il "tra le righe" di Enrico? C'era un "tra le righe"? Non poteva credere che uscisse ogni volta con loro con l'intenzione di fare il reggitore di moccoli, la spalla comica, o il supervisore silenzioso. Doveva esserci dell'altro. Quanto poteva ancora reggere quella dinamica, tra i tre? Non molto a lungo. Ma aveva paura che lasciate a se stesse, le cose non sarebbero evolute nella direzione che si auspicava. Bisognava prendere in mano il pallino del gioco. Non avrebbe dovuto farlo lei, lei era la femmina, ma quante possibilità c'erano che i due si affrontassero in un duello all'arma bianca e che vincesse il suo preferito? Non che le piacesse essere considerata la posta in palio, a meno che la sfida non fosse truccata o decisa preventivamente a tavolino.

La serata trascorse secondo le ormai consolidate dinamiche, e se anche ci fossero state rivoluzioni all'orizzonte, era chiaro a Giulia che non si sarebbero innescate quel giorno, a meno che lei... Si era fatto tardi, e arrivò il momento dei saluti.
Nessuno dei tre abitava nello stessa zona della città, e ogni volta che si lasciavano prendevano direzioni diverse. Tra Enrico e Francesco intercorse il solito cenno della testa, un classico gesto di complicità maschile, o forse solo la constatazione che non c'era bisogno di saluti più elaborati, tanto con ogni probabilità i due si sarebbero rivisti l'indomani. Poi toccò a Giulia, che, come faceva sempre, strinse in un abbraccio e baciò sulle guance prima uno e poi l'altro, dedicando a queste azioni un tempo lunghissimo, come se volesse dare la massima importanza a ogni istante. Sembrava l'ultimo saluto a due condannati a morte, che poi puntualmente resuscitavano. Solo che stavolta strinse uno dei due un po' di più, e lo baciò più vicino alle labbra. Niente di eclatante, ma un occhio attento se ne sarebbe accorto. Lei sperava che lui se se fosse accorto. Poi si dissero "ciao", e ognuno prese la propria strada. Ma Giulia non era soddisfatta. Doveva fare qualcosa. Doveva rendere evidente quello che l'abbraccio da solo non poteva dire. Sentiva di dover cambiare le cose prima che quell'equilibrio diventasse una gabbia da cui fosse impossibile scappare. Stava camminando con piccoli passi svelti, quasi aveva il fiatone. Prese il cellulare dalla borsa, e sull'onda concitata del ragionamento digitò il messaggio, e lo inviò. Furia cieca. Anche di quest'espressione capì la portata solo quando era troppo tardi. Così cieca e definitiva che non aveva fatto in tempo a vedere a chi lo aveva mandato. Aveva vinto l'automatismo? Il subconscio? La volontà? Enrico o Francesco? Non lo sapeva. Il pollice era stato troppo veloce.

Giulia se ne stava ancora immobile, seduta sul letto. Non sapeva quanto tempo fosse passato. Forse un minuto, forse un'ora. Il telefonino taceva ancora. La suoneria che aveva scelto per i messaggi ricevuti non le piaceva granchè ma era l'unica melodia che avrebbe voluto sentire in quel momento. Faceva così caldo che neanche grilli e cicale riuscivano a produrre suono. Perchè non rispondeva? Uno dei due, qualsiasi cosa andava bene. Qualsiasi. In un senso o nell'altro, almeno avrebbe capito. Si lasciò cadere all'indietro, finendo per rimbalzare leggermente sul materasso. Le lenzuola si alzarono intorno a lei in uno sbuffo, per poi afflosciarsi come un paracadute dopo l'atterraggio. Sorrideva, anzi ora le veniva proprio da ridere. Non le importava che le contrazioni dei muscoli facciali e addominali l'avrebbero spinta a sudare di nuovo. Sudava e rideva, pensando a quanto fosse cieco quel nuovo sentimento e cieche le azioni che ne erano derivate. Fu allora che il cellulare trillò.

2 commenti: