Aveva tanto aspettato l’estate, e l’estate era finalmente arrivata. Solo che ora che era arrivata, si era reso conto di non volerla già più, di volersi teletrasportare immediatamente a settembre, quando le cose riprendono il proprio moto e non bisogna fare altro che lasciarsi trasportare dal flusso. Da giorni era alle prese con un’ansia indicibile che gli opprimeva il petto, rendendogli complicato ogni respiro. Avrebbe voluto che qualcosa o qualcuno lo salvasse, mostrandogli una via di fuga, ma non sembrava esserci alcunché all’orizzonte, un orizzonte che si faceva ogni ora più stretto, impedendogli di vedere, di muoversi, di fare anche solo un singolo passo. Era prigioniero della torre, o forse meglio dire del tunnel, che si era costruito con le proprie mani.
“Mandami solo un sms e io sarò salvato”, continuava a ripetersi come un mantra, ma il messaggio non arrivava. Forse avrebbe dovuto mandarne uno lui per primo, ma in questo momento un rifiuto o un’assenza di risposta sarebbero stati letali, lo sentiva. Cosa voleva? Cosa desiderava di preciso? Non lo sapeva bene neanche lui, magari semplicemente di non essere solo, o di avere un obiettivo da raggiungere. Poca roba, insomma. Intanto annaspava nel suo mare d’ansia, che poi non era nulla di più di un laghetto di montagna, lo sapeva benissimo, ma non è che saperlo cambiasse la situazione, e si teneva occupato con mille piccole faccende quotidiane. Casa non era mai stata così pulita, e la dispensa così piena.
Dopo l’ennesimo giro a spolverare, rassettare, sistemare, si fermò in cucina. Mancava qualcosa? Ispezionò cassetti, aprì e richiuse ante, e per ultimo gettò uno sguardo nel frigo. Gli occhi si posarono sulla bottiglia di latte, e gli scappò un sorriso, avrebbe voluto trattenerlo ma non ci fu niente da fare. Possibile che fosse dovuto finire tutto per una bottiglia di latte? Evidentemente sì. Com’era possibile invece che ci avesse messo più di tre anni a leggere i suoi sentimenti, di questo ancora non si capacitava. Si era sempre occupato lui della spesa, un po’ per piacere e un po’ per abitudine, ma quella volta le chiese un favore. Mancavano un paio di cose per la colazione dell’indomani, tra cui il latte. Avevano fatto colazione insieme centinaia di volte, non vivevano assieme ma erano più le notti che lei passava a casa sua che nella propria, conoscevano ciascuno la routine dell’altro, dai cucchiaini di zucchero nel caffè all’esatto numero di biscotti che venivano inzuppati nel caffelatte. O almeno lui ne era convinto. Lei disse che non aveva bisogno della lista, che si sarebbe ricordata tutto, e uscì di casa. Si rimise a lavorare all’articolo che avrebbe dovuto assolutamente consegnare prima di cena. Lei rientrò dopo non più di venti minuti. Andò ad aprirle la porta e la sollevò dal peso del sacchetto del supermercato. Giunto in cucina inizio a estrarre gli articoli dalla busta e a collocarli al loro posto. Fu una doccia fredda. Un dolore acuminato e inaspettato, una stilettata precisa, chirurgica. Latte a lunga conservazione. Quando mai aveva bevuto latte a lunga conservazione in tutti quegli anni, o nella sua intera vita, s’è per questo? Lei nel frattempo si era tolta le scarpe e si era allungata sul divano, dopo essersi accesa una sigaretta. Guardava il soffitto, o oltre il soffitto, ed era presa dai propri pensieri. Aveva un modo tutto suo di espirare il fumo, non in ampi sbuffi voluttuosi, ma piuttosto in soffi rapidi e secchi, come se dovesse ogni volta battere il record mondiale di velocità di svuotamento polmonare. Le chiese, cercando di mantenere la calma e prendendola più alla larga possibile, “Ma che latte hai preso?”. Lei, dopo qualche secondo necessario a cacciare via i pensieri svogliati e a codificare la domanda, rispose qualcosa del tipo “Quello che bevi sempre, no?”, e si lasciò andare a un sorriso puro, prima di dare l’ennesimo tiro alla sigaretta e gettare di nuovo lo sguardo oltre il soffitto, oltre quella casa, oltre quello spazio e quel tempo.
C’era bisogno di sapere altro? La consapevolezza istantanea e totale che quelle colazioni non fossero importanti per lei quanto lo erano per lui lo marmorizzò. Ci aveva creduto che l’amore fosse quello, la rara o forse unica combinazione di due persone che attribuiscono lo stesso identico valore a determinati momenti. Non certo un’equazione matematica, ma almeno l’assolutezza di una verità matematica. E ora che quella verità si era sgretolata, non restava nulla, e lo sapeva. Ora sarebbe iniziata quella sfibrante tiritera di cose mie e cose tue, amici in comune o forse non più, di strade da non percorrere e luoghi da evitare, fino a un conveniente oblio.
Chiuse il frigo. Ricordare di solito gli faceva male, in fondo non era neanche passato un anno, ma in questo momento lo distraeva dall’ansia, lo teneva focalizzato impedendogli di perdersi. Si trattava solo di scegliere il male più desiderabile. E quel maledetto sms ancora non arrivava.
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