martedì 17 aprile 2012

E tutto va come deve andare

Era da troppo tempo che Leo mancava da casa. Ogni volta che si faceva strada nello scompartimento tra pendolari e giovani universitari (ma quanto giovani erano diventati? O era lui che stava invecchiando così in fretta?), armato di zaino, borsa a tracolla e borsone, dopo aver salutato la propria città natale, gli sembrava di stare partendo per l'ennesimo Erasmus. E invece si trattava solo di poche ore di treno. Troppo lavoro e pochi soldi (anzi, troppi lavori che messi insieme non avrebbero raggiunto neppure a stento un salario accettabile) fanno di te un recluso, uno di quei condannati ai lavori forzati con la palla di cemento legata alla caviglia, si ripeteva. Non riusciva ancora a capire perchè si facesse sempre incastrare alla stessa maniera. Era giunta l'ora di riprendere possesso del proprio tempo, che poi comunque nessuno te lo pagherà mai abbastanza. Ma non quella volta lì. Quella volta lì sarebbe rientrato per il classico fine settimana volante, estorto con le unghie e con i denti ai propri datori di lavoro, che non avrebbero mancato di farglielo pesare per i prossimi due mesi almeno.

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Raggiunse il bar dove sapeva che avrebbe trovato amici e conoscenti, senza bisogno di darsi appuntamenti a cui si sarebbe giunti immancabilmente in ritardo. C'era già un discreto capannello di persone che chiacchierava, beveva e fumava al di fuori del locale, godendosi il primo tepore primaverile. Diede un'occhiata in giro, occupandosi di fare una checklist mentale dei presenti. Andrea e Martino, compagni di bevute (e non solo) da almeno metà della sua vita, non erano ancora arrivati, quindi decise di intromettersi in un cerchio costituito da un gruppo di ragazze. No, non erano delle sconosciute. In tal caso gli sarebbe mancato il coraggio (e nel profondo aveva sempre invidiato quel genere di tipi che non si fanno problemi ad attaccare bottone con più o meno qualsiasi genere di femmina, e che non si fermano al primo rifiuto, ma neppure al secondo). Che poi nella piccola città gli sconosciuti (o le sconosciute) praticamente non esistevano, era solo una questione di gradi di separazione (comunque mai più di due). Stavano discutendo di cose scritte, lette e commentate su facebook, verificando poi in diretta via smartphone le informazioni salienti e i passaggi chiave. Gli passò per la mente quella frase che si usava qualche anno fa: "Parlare della vita vera su internet, e di internet nella vita vera". Aveva ancora senso la distinzione? Cercò di lanciare sul piatto qualche constatazione brillante, le ragazze risero alle sue battute. Erano tutte molto carine, vestite casual, ma quel casual che presuppone un'attenta preparazione. A Leo piaceva osservare i dettagli: scarpe, accessori, trucco, movimenti delle mani... E lo inebriava stare immerso in quella piccola isola tutta femminile. Avrebbe potuto innamorarsi di tutte loro, e forse era già sulla buona strada. Peccato che. Peccato che alcune le sapesse già fidanzate, e soprattutto peccato che vivessero lì, tutto l'anno, in quella città da cui aveva sempre voluto scappare (finchè non c'era riuscito), che detestava amabilmente, che però lo spingeva a tornare di tanto in tanto, fosse per gli amici o anche di più perchè qualcosa di quei luoghi continuava a scorrergli dentro e a fare da richiamo.

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Di Andrea e Martino neanche l'ombra ancora, e senza sapere bene come si ritrovò solo con Anna. Nell'attimo di imbarazzo (probabilmente solo suo) che seguì questa presa di coscienza, Leo riavvolse rapidamente il nastro fino ad aver chiaro dove si erano disperse le altre fanciulle: un paio erano entrate nel bar per prendere da bere, una era corsa a salutare il fidanzato appena giunto, e l'ultima stava parlando con un'amica a due passi da lì. In fondo non gli dispiaceva, Anna era la sua preferita. Da che l'aveva conosciuta (quando? Boh, non era importante) l'aveva sempre osservata con curiosità. Non dava molto nell'occhio, era  un po' timida, e questo Leo lo apprezzava molto, soprattutto perchè quando si apriva agli altri lasciava intuire un mondo di pensieri. Gli piaceva il suo sorriso, che coinvolgeva in egual misura bocca e occhi, questi ultimi al riparo dietro un paio di buffi occhiali da vista. Era sempre molto stilosa nel vestire: quella sera indossava un paio di jeans, decolleté col tacco, e un cappotto grigio fumo di Londra dal taglio originale, con dei grossi bottoni posizionati in diagonale. Si misero a chiacchierare del più e del meno, raccontandosi qualcosa di inoffensivo delle rispettive esistenze, lavoro, amici e compagnia bella. Leo era venuto a sapere (città piccola, gente che mormora), che Anna si era lasciata da poco col fidanzato, ma aspettò che fosse lei a tirare fuori l'argomento. Parlarono di sistemi per combattere i dolori e le nostalgie post-storie, Leo avrebbe voluto fare qualche commento per rendere evidente il suo interesse, ma non ci riuscì. Forse era il momento che non era adatto, forse non erano adatte le loro vite, così distanti, così diverse. Forse erano tutte scuse che si era creato dentro di sè per giustificare la propria incapacità. Tornarono le amiche, la conversazione confluì nella loro e si perse. Arrivarono anche Andrea e Martino, i gruppi si divisero naturalmente, maschi con maschi e femmine con femmine, senza neppure bisogno di salutarsi.

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Dopo aver conquistato il posto a sedere e aver buttato la propria roba nella mensola portabagagli, Leo si mise a guardare fuori dal finestrino attendendo la partenza del convoglio. Viaggiare in treno gli metteva sempre una gran tristezza, come se il peso di quello che stava lasciando fosse sempre maggiore delle opportunità a cui andava incontro. In questi momenti in cui il cervello gli si metteva a brulicare amava esagerare, non c'era nulla di così importante da mettersi alle spalle, né nessuna grande opportunità che lo aspettava. Ma la tristezza regnava comunque. Avrebbe voluto provare l'esperienza di catapultarsi in un universo parallelo, un universo in cui aveva deciso di non lasciare la città, in cui si era messo a studiare tutt'altro per poi trovare un lavoro stabile e redditizio, un universo in cui magari avrebbe avuto un senso costruire qualcosa con Anna, o con una ragazza come lei. Ma che motivo aveva ora di abbandonarsi a queste riflessioni? Le cose erano andate come dovevano andare. Mentre scivolava nel classico torpore da viaggio si domandò se anche Anna avesse mai pensato a lui e a tutto ciò.

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